V. era un bambino che aveva
qualche problema a scuola.
Iolanda , che lo aveva avuto dopo
i quarant’anni, gravidanza imprevista per un’età in cui le donne allora erano
considerate già vecchie, con l’esperienza di madre matura intuiva che quel
terzo figlio andava aiutato.
Chiese a me, allora studentessa,
di seguirlo nei compiti.
Seduta alla scrivania mettevo da
parte i miei libri e accoglievo lui con i suoi.
Arrivava svogliatamente costringendomi sulla porta ad attenderlo, pur
essendo, invece, un bambino vivace e dinamico in altri momenti.
In me allora non c’era,
ovviamente, niente dell’insegnante di adesso ed i disturbi dell’apprendimento
erano sconosciuti, in Italia, anche agli addetti al mestiere; così V. come tanti bambini
era definito uno scolaro intelligente ma
svogliato, spesso lasciato a bollire nel suo brodo, visto che non voleva
collaborare.
Io vedevo la sua fatica e
coglievo quel blocco che gli impediva di memorizzare le tabelline, imparare a fare calcoli e a scrivere senza
errori. Non sapevo spiegarmi le sue
difficoltà ma intuivo che lui non ne era responsabile, mi
sentivo impotente e di tutto questo
parlavo con Iolanda, donna sensibile ed intelligente, che non si dava pace per
gli insuccessi scolastici del suo ultimo nato.
Da parte mia ancora non sapevo
quanti altri alunni avrei incontrato negli anni a venire che mi avrebbero
ricordato quel bambino dal sorriso dolce e dallo sguardo un po’ triste, che
tante frustrazioni subiva per la scuola, con quanti neuro psichiatri avrei
dovuto discutere e essere umiliata come
insegnante che fallisce con un bambino intelligente, e quanto tempo sarebbe
passato prima di poter dare un nome a quel disturbo, per tutelare , aiutare,
accompagnare in un percorso il più possibile sereno tutti coloro che ne sono
coinvolti, aiutata, come professionista, da coloro che possono e devono farlo.
Giovane e inesperta cercavo di comprendere i suoi bisogni dialogando con lui senza capire che se avesse potuto
dirmi il suo problema sarebbe stato geniale.
Per un certo periodo le divisioni
a due cifre ci ossessionarono entrambi, non riusciva assolutamente a tenere
sotto controllo l’algoritmo per venirne a capo, c’erano giorni in cui mi
sembrava che avessimo fatto un piccolo progresso, poi il giorno dopo tutto
daccapo. Decisa a non mollare una volta gli chiesi:
-Perché non cerchi di ricordare,
di farcela, così possiamo fare qualcosa di nuovo e smettere di annoiarci con le
divisioni.
Accigliò lo sguardo e serio serio
mi rispose:
-A che serve… tanto se imparo una cosa poi ce n’è subito un’altra da studiare.
Compresi che la sua fatica era
tanto grande e nei giorni a venire dopo un breve esercizio scansavo i libri e
comparivano la dama, le carte, il gioco dell’oca, la battaglia navale, giochi con le parole, tutti quelli che ricordavo del mio mondo di bambina; il suo sguardo si
illuminava ed io sapevo che comunque contava e scriveva.
Qualcosa avevo intuito, almeno
saliva le scale più in fretta e si sbrigava, con il mio aiuto discreto, a fare
quello che non gli piaceva.
Molti anni dopo Iolanda mi
confidò di aver ascoltato una trasmissione alla radio e di aver capito che le
difficoltà che suo figlio manifestava potevano essere diagnosticate come
disturbi specifici dell’apprendimento per i quali andavano attivati percorsi
educativi mirati, le cadde una lacrima
perché le madri provano sensi di colpa anche se magari spettano più ad
altri, io non potei far altro che annuire confermando ciò che diceva anche se
non c’era diagnosi certa.
Io e V. ci siamo persi di vista,
spero solo che non mi ricordi fra le sue
sofferenze scolastiche, vorrei chiedergli scusa perché ora so che non ci si può
improvvisare insegnanti , ho saputo che è padre e la sua esperienza potrà
aiutarlo, ma vorrei anche dirgli che aveva compreso purtroppo attraverso la sua
sofferenza che imparare è una storia infinita, non si finisce mai di di modificare, di migliorare ed arricchire il nostro sapere, frutto sempre e comunque di fatica.
La Legge dell’8 ottobre 2010, nº
170 riconosce la dislessia, la
disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di
apprendimento, denominati "DSA".
Adesso il diritto allo studio degli alunni con DSA è
garantito mediante molteplici iniziative promosse e attraverso la realizzazione
di percorsi individualizzati nell'ambito scolastico.
Ma una legge da sola non può bastare, come insegnanti dobbiamo imparare ancora e sempre.
La risposta che V. diede a suo tempo alla mia domanda, può far
sorridere, ma nasconde una realtà, e a
proposito di non finire mai d’imparare, anche in cucina, questa è una regola piuttosto costante.
Ogni ricetta, ogni procedimento può essere modificato, migliorato e nuovi ingredienti aggiunti.
Ogni ricetta, ogni procedimento può essere modificato, migliorato e nuovi ingredienti aggiunti.
Dopo queste riflessioni, per
addolcire un po’, ecco il gelato, sul quale mi cimento ogni estate, tempo in cui apro la mia gelateria in famiglia.e il cui procedimento ed
ingredienti modifico per cercare di ottenere risultati migliori.
Gelato
di cioccolato fondente
Ingredienti per 500g di gelato:
250g di latte ridotto( bollito per 40/50 minuti con 80g di zucchero), 160g di
panna fresca, 200g di cioccolato fondente, 1chiaro d’uovo per la meringa ( per
la preparazione della meringa ved. ricetta gelato di crema http://cucinarestorie.blogspot.com/2011/08/gelati-e-segreti.html),
un cucchiaino raso di farina di semi di carrube.
Sciogliere a bagnomaria il cioccolato,
unire la farina di carruba e poco latte ridotto caldo, tenere sul fuoco 2
minuti poi aggiungere il resto del latte,spengere, raffreddare .
Unire al miscuglio ben freddo la panna. Far riposare un giorno in frigorifero. poi versare nella gelatiera.
5 minuti prima che finisca la montatura unire la meringa preparata.
La montatura del gelato deve essere morbida, non compatta, altrimenti il gelato indurisce. Mettere il gelato in una vaschetta , se gradite, spolverizzare con delle nocciole tostate e tritate.
Chiudere e conservare in freezer.
Gelato mou
Ingredienti per circa 500g di
gelato: 500g di latte, 150g di panna fresca, 110g di zucchero, ½ cucchiaino di
bicarbonato di sodio, mezza stecca di vaniglia.
Questo gelato è ottenuto
utilizzando la ricetta del dolce nazionale argentino”dolce di latte” che si
presenta come una crema densa dal dolce sapore e anche il gelato risulterà molto cremoso.
Aprire la stecca di vaniglia
con la punta di un coltellino, raschiare i semi che nel latte sprigioneranno
tutto il loro aroma.
Porre in cottura a bagnomaria
il latte, la panna, lo zucchero , il bicarbonato, i semi e la stecca di
vaniglia.
Cuocere per circa 3 ore mescolando ogni tanto e aggiungendo acqua al bagnomaria.
La miscela assumerà gradualmente una colorazione ambrata sempre più intensa, riducendosi notevolmente di volume.
Lasciar raffreddare.
Eliminare la stecca di vaniglia.Far riposare un giorno in frigorifero.
Versare il gelato nella gelatiera.
La montatura del gelato deve essere morbida, non compatta, altrimenti il gelato indurisce. Mettere il gelato in una vaschetta.
Chiudere e conservare in freezer.
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