sabato 28 marzo 2020

Il nero proprio no

I miei suoceri si erano trasferiti da Venezia a Mestre per vivere in una casa nuova, luminosa e priva di umidità completamente diversa da quella dove vivevano a Venezia in Campo Santi Apostoli.
Venezia era rimasta però  nel  loro cuore e consideravano Mestre molto provinciale.
Quella città apparve invece a me  molto più moderna di Prato, rimasi impressionata da molte cose perfino il palazzo di Coin a vari piani  mi conquistò, mai avevo visto niente di simile.
Tutto mi sembrò allora ricco e abbondante in quella cittadina del Nord anche perché la mia vita si  era svolta fino ad allora in un territorio ristretto.
Uscivo con Gino mio suocero per le spese e rimanevo abbagliata dalla bellezza del mercato ortofrutticolo con le sue montagne di merce, fondi di carciofo che non avevo mai visto vendere curati, funghi chiodini e finferli , stranissimi per me abituata solo ai porcini  e non parliamo poi del mercato del pesce che non conoscevo affatto. Gino mi illustrava  le varie specie accompagnandole al nome di piatti per lui tradizionali.
Sulla via del ritorno ci fermavamo a bere un'ombra e gustare qualche cicchetto, un'abitudine nuovissima per me.
Falena, mia suocera , come del resto anche mia madre, cucinava più per dovere che per passione , ma le cose che preparava erano ben fatte, da lei ho imparato a cucinare il pesce  e a fare i risotti all'onda.
Nella loro casa cominciai a  mangiare il pesce di mare , ma non tutto subito, non sono mai riuscita ad assaggiare i "folpetti" "col sedano, i moscardini venivano cucinati con tutte le interiora ed io inorridivo e le seppie con il nero e la polenta di mais bianco, quel nero nel piatto proprio non lo tolleravo.
Molti anni più tardi mi sono decisa ad assaggiare un risotto al nero di seppia e ne sono rimasta incantata. Adesso le linguine al nero di seppia e soprattutto il risotto sono fra i miei primi piatti preferiti.


Linguine al nero di seppia






giovedì 19 marzo 2020

In casa

Quando cominciava ad imbrunire, estate o inverno che fosse, le mamme si affacciavano alla finestra, qualcuna compariva sull'uscio e i vari nomi venivano pronunciati ad uno ad uno in un appello di fine giornata. Noi indugiavamo e in quel momento sembravamo una vera banda che volesse sfuggire all'arresto.
-È ora di stare in casa!
Il momento di quelle parole non era per noi mai gradito. Interrompeva giochi fantasiosi con draghi, principesse, principi  e regni in boschi incantati, battaglie fra indiani e cow boy, scovavano i nostri nascondigli così ben studiati,  bloccavano le conte, i salti , le arrampicate sugli alberi, gli scherzi , i litigi.
il momento più brutto della giornata lo annunciavano le voci più amate, i sorrisi più dolci, le braccia più accoglienti, ma ciondolavamo scontenti verso le nostre case e risuonavano con intonazioni diverse per età, sesso e voglia i  -Ciao a domani!
Varcare la porta di casa significava lasciare il mondo del "fuori" improvvisamente silenzioso e piano piano avvolto dall'oscurità.
Non avevamo giochi, computer, TV e nelle case non c'erano grandi svaghi per ingannare il tempo fino all'ora di cena, non restava che rannicchiarsi vicino al fuoco o guardare fuori dalla finestra le ombre, che un po' incutevano timore .
La fantasia trottava leggera e uno stecco , un coperchio,  un gomitolo aiutavano ad ingannare il tempo. I più grandi potevano aiutare a preparare la cena, cibi semplici ma pieni di calore per l'ultimo incontro di famiglia della giornata  senza distrazioni se non  voci e parole.
Mezze maniche con i broccoli




Spezzatino classico con polenta



Scaloppine ai funghi